Nicola Zingaretti il bello addormentato
Scampato alle urne, resta sempre nel vago per non disturbare nessuno. Ma forse è ora che inizi a fare davvero il segretario
Susanna Turco
Galeotta fu la «spinta propulsiva» (e chi la rievocò). Perché certe leadership si condensano in un giorno preciso. E quella di Nicola Zingaretti, fiorita come summa di debolezze e sin qui sospinta da un’onda in via di esaurimento, ha avuto una svolta nel momento esatto in cui via blog su Huffington Post l’ultimo figlio delle Botteghe Oscure ha celebrato – con tutti i crismi del giovane figicciotto che fu – Enrico Berlinguer a 35 anni dalla sua scomparsa. Ecco in quel momento un brivido invisibile ha percorso il partito democratico, forse il centrosinistra tutto. Quel brivido mormorava: eh no, mo’ basta. Non per il leader comunista, né per la rievocazione in sé, ma per la difficoltà di racchiuderla nel quadro di una strategia coerente del neo capo del Nazareno. Quell’iniziativa è stata percepita come il sintomo del suo randomico girarci intorno – a una leadership, a un immaginario, a un universo di riferimento. Uno zig zag tanto simpaticamente nostalgico quanto privo di un vero disegno, di un obiettivo preciso, di una sufficiente chiarezza circa il ruolo e il futuro. Tal quale l’appeal di messaggi come l’asserito «ritorno del bipolarismo» (urrà!) o lo spettacolo sconfortante degli scaffali vuoti di libri nell’ufficio da segretario dem. Sì, d’accordo, le Clark: ma poi? Chiuso con gli ultimi ballottaggi il turno elettorale, quell’aria da «poteva andare peggio, poteva piovere» alla quale Zinga, eletto a febbraio a furor di popolo dem, ha improntato il suo incipit di segreteria affrontando la paurosa tornata di europee più amministrative – la sconfitta di Ferrara e la riconquista di Livorno, i 41 comuni persi e il sorpasso sui Cinque stelle, fino ai rocamboleschi casi di Potenza e di Avellino – ecco improvvisamente tutto il credito è arrivato ad esaurimento. (…)